Questa storia contiene all’interno altre due storie, entrambe importanti.
La prima è quella di Antonio Cascarano, esuberante architetto lucano, che abita a Rapolla, provincia di Potenza. Antonio è memore del vino che faceva suo nonno, Giovanni Falaguerra, alla fine del 1800, e di quanto questo fosse rinomato; recupera la vecchia cantina scavata nel tufo, ripianta le vigne e riapre la cantina chiamandola Camerlengo.
La seconda storia è quella del nome dietro alla cantina così come dietro tutto il suo paese. Il camerlengo è stato, per secoli, la carica che il papa donava ad un cardinale al fine di fargli amministrarne i suoi beni temporali, i suoi possedimenti…ma cosa c’entra tutto questo? Ve lo spieghiamo subito.
Nel 1250 la chiesa aveva avuto degli screzi con il Sacro Romano Impero proprio per quest’ultimi dato che entrambi volevano avere un dominio esclusivo sui possedimenti terrieri della Chiesa, cosa che portò alla formazione dei famosi guelfi(fedeli al papa) e ghibellini (fedeli all’imperatore). Per far cambiare idea ai lucani, quasi interamente guelfi, Manfredi in persona, figlio di Federico II, andò proprio nella loro terra a tenere dei comizi, in cui, sostanzialmente, faceva propaganda. Quasi tutte le città rimansero incantare dalle parole di Manfredi. Rapolla no e addirittura ricorse alle armi al solo sentir parlare di lui e ne uscì vittoriosa dopo giorni e giorni di assedio. Ed è così che il famoso camerlengo entra in scena, regalando come premio ai cittadini, tra le numerose terre da coltivare, proprio quelle da cui si producono, i famosi Aglianico lucani.
Ed è sempre qui che vediamo l’enorme rispetto che Antonio ha avuto per la sua terra, dando un nome che rende omaggio all’intera storia della regione ma soprattutto la gratitudine immensa da lui nutrita nei confronti di un uomo mai conosciuto per avergli forse permesso di fare il suo vino, coltivato in modo naturale.
Camerlengo, infatti, non fa uso di nessun fertilizzante o pesticida in vigna, né tantomeno acquista lieviti. I loro vini vengono ottenuti attraverso la macerazione spontanea delle uve, rigorosamente raccolte a mano: tutte caratteristiche che la rendono forse l’unica cantina a conduzione naturale di tutto il Vulture, cosa già degna di rispetto per la risolutezza avuta.
In vigna si coltiva prevalentemente Aglianico ma una menzione speciale è da dedicare alle uve bianche, varietà non certo comuni: Malvasia di Rapolla, Cinguli, e Santa Sofia. I vini prodotti sono 5, e ognuno con una particolarità che lo rende speciale nella sua categoria: Juiell, un rosato naturale ottenuto vinificando le uve Aglianico in bianco; Accamilla, uno dei pochi orange wine lucani, frutto di un blend delle uve a bacca bianca locali macerate a lungo sulle bucce; Antelio, un aglianico del Vulture “giovane”, ma già molto complesso, prodotto da vigne più giovani ed affinato in castagno, mostra già in maniera paurosa i risultati della vinificazione naturale; il Camerlengo, invece, è il suo fratello maggiore, molto più complesso, data la maggiore età della sua vigna e dai tonneaux di rovere francese usati per l’affinamento. Tutto ciò regala un vino molto complesso e sfaccettato, che, se lasciato riposare per un po’ di anni, ha le potenzialità per diventare a mani basse uno dei migliori Aglianico del Vulture.
Camerlengo, è in sostanza il prototipo della cantina che rispettiamo: una persona reale con una storia importante dietro al suo marchio, una coltivazione rispettosa dell’ambiente e del vino e vini che dimostrano di evolvere in modo magnifico nel tempo, a dispetto di ciò che molti dicono. Ma è soprattutto una la motivazione che ci spinge ad ammirarli così tanto: la presa di coscienza che qui produrre vino naturale non è una moda, né tantomeno una sovrastruttura partita dal nulla: è la naturale prosecuzione di un percorso di rispetto per il territorio e per la storia del paese, è gratitudine nel semplice fatto di produrre vino, è qualcosa che parte da una conoscenza profonda della propria identità, cosa che nel nostro mondo, purtroppo, manca sempre di più.
